Dopo il successo online, “Il segno dell’acqua” di Raffaele Spidalieri esce finalmente anche in vinile.
Una scelta che segue una precisa idea artistica oltre che etica, come ben ci spiega lo stesso Spidalieri: “Uno dei peggiori aspetti della nostra società è quello di non dare valore alle cose. Perché la maggior parte delle cose, ormai, sono virtuali e dematerializzate. La scelta del vinile è basata proprio su questo concetto. Restituire la concretezza e la tangibilità alle cose. Soprattutto quelle che hanno visto il lavoro e la passione delle tante persone che hanno partecipato alla loro realizzazione. Così deve essere per le mie canzoni. Per rispetto.” E ancora: “La musica liquida è comoda, ma la comodità spesso non dà valore. Un tempo la musica si acquistava, si curava, si ascoltava, guardava, leggeva, conservava… Ancora oggi abbiamo dischi di 30 anni e oltre e portiamo loro rispetto. Sono oggetti che esistono ed esisteranno per sempre. Sono tracce fisiche. Dentro quei solchi ci sono autori, musicisti, fonici, tecnici, uffici stampa, produzioni, idee, notti e giorni di lavoro, energie e soldi investiti. E si percepiva dall’ascolto “imperfetto” dei solchi.”.
Hanno partecipato alla realizzazione di questo album, oltre alla voce, chitarre e synth di Raffaele Spidalieri, anche: Mauro Grossi al pianoforte e tastiere, Luca Ravagni ai fiati, tastiere e programmazioni elettroniche, Diego Perugini alle chitarre, Franco Fabbrini e Ares Tavolazzi ai bassi elettrici e contrabbasso, Andrea Beninati, Gianni Cerone, Gianluca Meconcelli alla batteria e alle percussioni.

Dodici tracce in cui il cantautore campobassano ha messo pezzi di strada, libri, esperienze, ambizioni ed auspici, consapevolezze, speranze, buone energie. Ma anche fallimenti, autori classici, viaggi nella profondità della sua anima e del suo inconscio – che gli hanno illuminato il presente – ha messo le cadute e le faticose riprese con le ginocchia sbucciate, ha messo tutto quello che gli è sbattuto addosso, cercando di dargli un senso logico e cronologico. Spidalieri ha quindi cercato di inserire queste cose nelle sue canzoni, sperando che in qualche modo possano accendere delle piccole fiammelle di nuova vita in chi le ascolta.

Arriva un momento nel vita in cui devi iniziare a scavare dentro di te. Scavare per cercare una luce che ti illumini e ti dica dove sei, o la strada che devi percorrere per fare un salto in alto, per guadagnare prospettive più elevate, passare da felino a rapace. Per alzare gli orizzonti. Per capire cosa si sta facendo in questa vita e quale dovrebbe essere la nostra missione, il nostro cammino. Ho passato gli ultimi dieci anni a cercare di comprendere questo. Leggendo e studiando tanto. Innamorandomi e perdendomi in letture antiche come l’uomo, che da sempre raccontano e illuminano.
Così ho scritto un pugno di canzoni ed in ognuna di loro ho messo pezzi di strada, libri, esperienze, ambizioni ed auguri, consapevolezze, speranze, buone energie. Ma anche fallimenti. Che poi fallimenti non sono se riescono ad insegnarti qualcosa e farti crescere.
Ho messo gli autori classici, che forse leggiamo ancora con le chiavi sbagliate, ho messo i miei viaggi regressivi che mi hanno illuminato il presente, ho messo le cadute e le faticose riprese con le ginocchia sbucciate, ho messo tutto quello che mi è sbattuto addosso, cercando di dargli un senso logico e cronologico.
E il lockdown ha dato il tempo. E il giusto silenzio per permettermi di dedicarmi a me stesso e al mio mondo. Senza interferenze. Un tempo passato lentamente, che ha fatto pesare tutta la sua importanza. Costringendoci ad essere spettatori paganti. Ma allo stesso momento assoluti protagonisti di un quel noi stessi che non eravamo più abituati ad essere. Né dentro né fuori.
L’acqua lava, distrugge, rinnova, alimenta. E così doveva essere.
Ho cercato di capire fino all’essenza questo momento.
E ho capito che in fondo, da sempre, sto facendo un viaggio meraviglioso. Ho capito che tutti abbiamo dentro un pezzo di divino che ci ricongiunge all’uno, al tutto.
E che siamo parte di quell’uno. Anche se la maggior parte  delle volte lo dimentichiamo. O forse,  più verosimilmente, lo rifiutiamo. E non ci rendiamo più conto di quello che siamo, di quello che viviamo, di quello che perdiamo. E che ritornerà più tumultuoso di prima.
Ecco, ho cercato di mettere queste cose nelle canzoni, sperando che in qualche modo possano accendere delle piccole fiammelle di nuova vita in chi le ascolta. La vita è breve, ma poi ritorna. E ritorna, e ritorna. Tanto vale saperlo subito…
Del resto, Per quanto tempo è per sempre? A volte, solo un secondo.  

Medico, poeta, cantautore. O forse il contrario: l’ordine degli addendi è solo una questione di mera digitazione. Raffaele Spidalieri nasce a Campobasso, al centro di quel Molise un po’ terra di nessuno, fabbrica di persone, quelle autentiche. Studia musica, pianoforte.
Gli studi lo portano ben presto in Toscana: in valigia l’accesso alla facoltà di Medicina e tanta musica lo vede con la sua band secondo a quegli Almamegretta che tutti conosciamo. Fra un esame e anatomia e uno di neurologia, suona il pianoforte nei locali raccontando la musica cantautorale meno nota o comunque più di nicchia. Poi il grande amore per Faber che lo porta in giro per l’Italia dal 2000 al 2004 con uno spettacolo tributo a Fabrizio de Andrè con più di cento concerti e il plauso, come si dice, di pubblico e di critica. Con la sua rilettura di Nella mia ora di libertà partecipa come interprete al disco Umbre de Muri, raccolta di canzoni di Fabrizio de Andrè reinterpretate da diversi autori. E poi c’è il progetto con l’Universitá degli Studi di Siena e la Fondazione De André: La canzone d’autore antimilitarista. Dal 2005 collabora con gli Adrenaline Junkie con i quali inizia a realizzare brani propri. E iniziano i concerti un po’ più importanti: Premio Via del Campo a Genova dove riceve il plauso di Don Andrea Gallo per la canzone Se fosse un attimo, sui tristi accadimenti del G8 di Genova; l’apertura del concerto di Erykah Badu al Lucca Summer Festival; il MEI di Faenza; alcuni concerti in teatri e piazze storiche italiane.
Nel 2007 pubblicazione dell’EP L’asino, seguito nel 2009 dalla pubblicazione del primo disco L’asino e Penelope sempre in collaborazione con gli Adrenaline Junkie e curato da Ignazio Morviducci. Nel 2011 è ospite di Radio Italia a Casa Sanremo, l’happening che fa da cornice al Festival della Canzone Italiana, per presentare dal vivo il suo disco. Partecipa al contest europeo Emergenza e la sua canzone Cose viene scelta nella compilation discografica di rappresentanza italiana.
Nel 2013 arriva il secondo disco Le farfalle non fanno confusione edito da Cramps Records, storica etichetta discografica italiana che ha visto nascere sotto le sue ali artisti come Battiato, Area, Finardi. Al gruppo si aggiungono i fiati di Luca Ravagni, uno dei migliori sassofonisti italiani. Nel 2017 produce e mette in scena lo spettacolo teatrale Ci vuole orecchio, recital su Enzo Jannacci. Nel 2019 realizza lo spettacolo teatrale Amico fragile, tributo a Fabrizio de André in occasione del ventennale della morte. Nasce qui la collaborazione con Mauro Grossi che inizierà ad arrangiare nuove canzoni.
Nel 2022, dopo 9 anni dedicati intensamente alla medicina, esce il nuovo lavoro “…”  che si avvale della partecipazione di Mauro Grossi, Luca Ravagni, Franco Fabbrini, Ares Tavolazzi, Diego Perugini, Andrea Beninati, Gianni Cerone, Gianluca Meconcelli.

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